Piano Editoriale nel 2021: come redigerlo e cosa è cambiato

Abbiamo un problema: la reach organica dei Social Media è crollata ai minimi storici e il risultato è che il Piano Editoriale, così com’è pensato per i Social Media, non funziona più nel 2020.

In realtà, è passato un anno intero da quando scrissi questo articolo, ma il contenuto è più che valido perchè il trend di calo della reach organica non è cambiato (anzi). E tutto ciò incide pesantemente sul tuo andamento sui Social Media.

Se dopo aver letto queste prime righe ti ho spaventato, ti assicuro che al termine dell’articolo avrai tutte le nozioni per comprendere la realtà attuale.

Il Piano Editoriale è il documento con il quale si definisce la programmazione dei contenuti da pubblicare su una serie di piattaforme – tipicamente Social Media e Sito Web -. Apprendere come strutturarlo è sicuramente un passo importante per migliorare i risultati delle tue pagine social o del tuo blog, ma è altrettanto rilevante comprendere oggi che struttura ha assunto il Piano Editoriale.

Innanzitutto è fondamentale occuparsi del lato strategico dei Social Media, per migliorare il rapporto con il cliente e per fornire un’immagine coerente del proprio Brand.

Una volta completata l’infrastruttura digitale, si può cominciare a lavorare sul Piano Editoriale.

Prima domanda frequente: “Si tratta di un semplice elenco di contenuti?

Assolutamente no! E soprattutto, la validità di un complesso Piano Editoriale è andata scemando negli ultimi anni e, già lo scorso anno, ponevo su LinkedIn una seconda domanda: ha ancora senso costruire un piano dei contenuti?

Se ti rispondessi di no probabilmente questo articolo finirebbe qui, ma la risposta è ovviamente positiva.

Bisogna però accettare il presupposto che il Piano Editoriale del 2020, e a maggior ragione nel 2021, è differente da quelli di 3 o 4 anni fa, perchè sono cambiati i meccanismi delle piattaforme. Partiamo da questo punto.

Le Piattaforme Digitali per un Piano Editoriale: Ieri e Oggi

Il Piano Editoriale riguarda la pianificazione di contenuti su specifiche piattaforme digitali. Se cambiano le piattaforme digitali, muta anche il senso e la funzionalità del piano.

Cosa è variato negli ultimi 4,5 anni?

La risposta è già stata fornita nell’incipit: la Reach Organica, cioè a quante persone appare un contenuto gratuito pubblicato sulla propria pagina social.

Prendo in esempio il caso di Facebook e del tipico approccio che si aveva – e che oggi non si dovrebbe avere -.

La concezione comune di una pagina Facebook era la seguente: io ho la mia Pagina “Fortudo”, ho il mio pubblico “Fan di Fortudo” (chi ha messo “mi piace” alla pagina “Fortudo”), perciò realizzo i miei contenuti (post, video, foto, etc.) per i miei “Fan di Fortudo”. Insomma, prima pubblicavo per i miei followers.

Questo approccio, nel 2020, non ha più la stessa efficacia e può portarti a scervellarti su una pianificazione dei contenuti senza poi ricevere un serio ritorno. Ciò perchè non sono cambiati gli utenti, ma si è evoluta la piattaforma.

La differenza è data dalla “proprietà dei followers“. I fan della tua pagina, in realtà, sono fan di Facebook, non tuoi!

Il Crollo della Reach Organica

La pagina Facebook “Fortudo” pubblica un nuovo articolo. Secondo la logica, questo post dovrebbe arrivare a tutti coloro che hanno cliccato “Mi Piace” sulla tua pagina. Non è così.

Oggi il contenuto organico arriva solamente ad una minima percentuale di persone che seguono la tua pagina.

Dati alla mano, riprendendo il grafico di APAC (team di Facebook Asia-Pacifico), dal 5,4% del 2015, la reach organica (persone che raggiungi con post gratuito pubblicato sulla tua pagina) è passata al 2% nel 2018 e, nel 2019, dovrebbe oscillare tra l’1,6% e l’1,8%.

Premettendo che si tratta di numeri legati alle grandi pagine (e che per le piccole sono, ovviamente, superiori) il numero assoluto di persone a cui arriva un contenuto è esiguo.

Pubblicare tutti i giorni, perciò, non è più una soluzione vincente.

L’algoritmo di Facebook mostra i tuoi contenuti a chi ha interagito con i precedenti e non a chi ha semplicemente messo “Mi piace” alla pagina.

Quindi a cosa servono, nel 2019, i fan della pagina? Tecnicamente a molto poco.

Sapevi già di questa evoluzione di Facebook? Instagram non fa particolare differenza, ma in generale ti consiglio, se volessi approfondire questo tema, un validissimo contenuto.

Il Piano Editoriale: funziona ancora?

So cosa stai pensando, ho già risposto al quesito già precedentemente. Dopo però aver compreso i nuovi meccanismi dei Social Media, è importante entrare nello specifico del Piano Editoriale.

Il Piano Editoriale, come già detto, è un documento di pianificazione di pubblicazione dei contenuti sulle proprie piattaforme.

Storicamente si definisce una griglia con i giorni della settimana (io ho sempre usato artigianalmente excel, ma di tools ne trovi tantissimi cercando online) e si stabiliscono quanti, in quali orari e dove pubblicare i post.

Si tratta della forma più classica e comune di programmazione. Dati alla mano, e parte della dottrina a supporto, spingono a ritenere che il Piano Editoriale sia inutile.

Non essendo Facebook più una piattaforma gratuita (non lo è mai stata), non ha alcun senso sforzarsi per contenuti che non legge nessuno.

Da un punto di vista analitico non fa una piega, non posso confutare nulla, ma ho due obiezioni da muovere.

La prima è che il discorso ha senso soprattutto per le grandi pagine, come può essere Ceres per esempio – ti invito a leggere i post più recenti -.

Il loro contenuto unisce il prodotto a fatti di attualità (instant marketing), disponendo di un budget elevato e di una Brand Awareness di spessore.

Difficilmente pubblicano più di 1 volta ogni 5 giorni.

Per una piccola pagina, però, è impensabile sponsorizzare ogni singolo contenuto, non ci sono i fondi.

Un Piano Editoriale temporale, pur flessibile e se vogliamo più leggero rispetto al tradizionale, rimane la soluzione migliore per avere contatti e credibilità.

Magari ridurrei la quantità e investirei sulla qualità dei contenuti, alternando a post visivi post più tecnici (2-3 a settimana possono bastare).

La mia seconda obiezione, invece, riguarda il tema dell’engagement.

Per “engagement” si intende il coinvolgimento dell’utente con la tua pagina che, tradotto in numeri, si riferisce al rapporto tra le persone che ti seguono e quelle che interagiscono.

Per tutto ciò che ho scritto prima, con una percentuale inferiore al 2% per i post pubblicati, è l’engagement a perderci.

In realtà è nì, per me considerare engagement solo questo è sbagliato. Il coinvolgimento è dettato anche dalla presenza e affidabilità della pagina.

Quindi se sei un grande nome la tua affidabilità è già comprovata, viceversa no.

Te lo spiego con un esempio.

Immagina di essere un utente che ricerca un tour operator su Facebook. Ne trovi due, stesso numero di “fan”. Il primo pubblica tre volte a settimana, il secondo una ogni 20 giorni. Di quale ti fideresti maggiormente? La risposta mi pare scontata.

In conclusione, perciò, il Piano Editoriale, per le piccole realtà, serve ancora ma deve essere flessibile ed essere abbinato al tono più adatto per gli interessi del proprio target e dell’identità del proprio Brand.

Si ribalta però il rapporto contenuto – giorno; la domanda da porsi è “quando pubblicare questo video?” e non più “Cosa devo pubblicare domani?“.

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